giovedì 19 luglio 2018

19 luglio 1943 reloaded


Esattamente settantacinque anni fa, il 19 luglio 1943, Roma fu bombardata. Fu un evento storico senza precedenti, un episodio drammatico che cambiò per sempre la storia di Roma e dell'Italia, e modificò completamente il decorso della seconda guerra mondiale. Le conseguenze politiche, militari e storiche furono sconvolgenti. Pochi giorni dopo Mussolini sarebbe stato sfiduciato dal consiglio, e il fascismo avrebbe iniziato il declino finale. Di lì a poco l'Italia si sarebbe spaccata in una terribile guerra civile, aggravandosi così la già critica situazione dovuta agli eventi bellici.
Oggi, nell'anniversario di quella terribile giornata, pubblico questo racconto. Sono un appassionato di storia a cui piace mischiare realtà storica e fantasia. Ecco dunque un altro mio racconto di fantastoria, in questo caso nella derivazione più classica del genere, ovvero la storia alternativa: cosa sarebbe successo se...
Leggerete dunque un'altra versione di quel giorno, un 19 luglio 1943 reloaded. Fatemi sapere se vi è piaciuto.

19 luglio 1943 reloaded

Nord Africa - Ore 08:20

Il comandante Doolittle comunicò via radio l'ordine, controllò l'allineamento e gli strumenti un'ultima volta e poi spinse la cloche in avanti. I quattro motori del potente B-17 ruggirono e il velivolo prese velocità. Il bombardiere, un leviatano di metallo, sembrava troppo pesante e goffo per prendere il volo, sfidava le leggi della fisica. Invece infine le ruote si staccarono e si alzò maestoso in cielo, bello e terribile, il frastuono che sembrava il grido di rabbia di un mostro mitologico. L’equipaggio gridò un urrà, eccitato e su di giri, come sempre all’inizio di una missione.
Dietro l’aereo del comandante, una squadra di oltre cinquecento velivoli lo seguì, finché uno stormo d'acciaio fu alto nei cieli del Mediterraneo, pronto con il suo bagaglio letale. Giunto in quota, Doolittle lasciò i comandi al copilota e si infilò nello stretto passaggio che portava nel compartimento in corrispondenza del muso dell’aereo. Si consultò con il navigatore, ricontrollando le carte e la rotta. Obiettivo Roma.

Roma - Ore 09:51

Il generale Fougier congedò il capitano del SIM e chiuse la porta dell'ufficio. Stando a quello che gli era appena stato comunicato, questa poteva essere la giornata più importante per Roma, quella che sarebbe entrata nei libri di storia come la svolta decisiva nel conflitto. Gli eventi delle prossime ore avrebbero condizionato il futuro a venire. Cercò di controllare le emozioni e di concentrarsi solo sul dovere; era bravo in questo, il suo pragmatismo era apprezzato e aveva contribuito a fargli fare carriera, fino a farlo diventare capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica. Ma l'eccitazione stavolta rischiava di sopraffare anche lui, c'era troppo in gioco. Prese subito il telefono, non aveva molto tempo, doveva avvisare immediatamente due persone. La prima era il contrammiraglio Marconi. Afferrò la cornetta e compose il numero.
- Pronto, chi parla?
- Contrammiraglio, sono Fougier. Ci siamo.
- Quanto tempo abbiamo?
- I bombardieri saranno sulla capitale nel giro di un'ora.
- Devo subito mettermi al lavoro. Ci aggiorniamo a breve. Pensate voi a chiamarlo?
- Sì ci penso io. A dopo.
Sì, ci avrebbe pensato lui. Quella era la seconda telefonata che doveva fare. Controllò la rubrica, dove aveva segnato il recapito di Villa Gaggia, dove poteva essere rintracciato. Chiamò, ma rispose una voce diversa da quella che si aspettava.
- Sono il generale Fougier, chi parla? Devo subito conferire con il Duce.
- Sono De Cesare. Generale, sono spiacente, ma come sapete il Duce si sta preparando all'incontro con il Cancelliere. Ha chiesto esplicitamente di non essere disturbato per nessun motivo.
- Statemi bene a sentire, De Cesare. Le notizie che porto sono della massima priorità. Mussolini deve essere informato immediatamente.
- Guardate io capisco, ma...
- Voi non capite proprio niente, Roma sta per essere bombardata! Passatemi il Duce!
Dall’altra parte della linea seguì un silenzio carico di tensione; forse furono secondi, ma a lui parvero minuti interminabili, poi una voce inconfondibile parlò.
- Fougier. Ho capito bene?
- Sì Eccellenza. Ho già avvisato Marconi.
- Fougier, nulla riguardo il progetto deve uscire dalle nostre stanze. Siamo riusciti a mantenere il segreto finora, non voglio che si sappia nulla fin quando gli aerei non saranno sui cieli della capitale. Non dovete farne menzione con nessuno.
- Certo Eccellenza, stia tranquillo.
- Bene. Adesso devo raggiungere il Cancelliere, tenetemi costantemente aggiornato.
- Lo farò sicuramente.
- Conto su di voi! Il Führer è venuto qui ignaro di tutto, convinto che le uniche cose da discutere siano le mancanze dell’Italia. Che sorpresa sarà per lui, e per il mondo intero!
- Se tutto andrà bene, Eccellenza…
- Che dite! Certo che andrà bene Fougier! La gloria di Roma sta per splendere di nuovo sul mondo! A più tardi!
- Sì Duce.
Il generale si rilassò e sedette, rendendosi conto che era stato in piedi per tutta la telefonata. Si deterse il sudore dalla fronte, poi aprì la porta dell'ufficio e chiese alla segretaria dell’acqua. Luglio era sempre stato caldo a Roma, ma quest'anno sembrava torrido. O era solo la tensione?
Bevve e si preparò a raggiungere Marconi al centro di comando. Lasciate istruzioni alla segretaria, scese e uscì dal portone. Trovò la sua berlina, una FIAT 1500, già pronta, l’autista lo vide e gli aprì lo sportello. Stava entrando in macchina quando udì le sirene antiaeree suonare.

Mar Tirreno - Ore 10:34

Doolittle osservava il panorama scorrere sotto di lui. Il mare era placido, ignaro del carico di morte che lo sorvolava. All’orizzonte la costa italiana si avvicinava velocemente, Roma era prossima. Per l’ennesima volta diede un'occhiata alla mappa che indicava gli obiettivi militari e le zone da evitare. Un grosso cerchio era segnato sopra il Vaticano, con scritto in stampatello “NON BOMBARDARE”. Cerchi simili segnavano chiese, ospedali, il Colosseo, il Pantheon...
Si poteva bombardare una città senza distruggerne l'anima? Forse una qualsiasi sì, ma Roma no, non era come le altre. Era davvero possibile separare un obiettivo militare da uno civile, in una città con quasi tremila anni di storia? Si poteva istruire un pilota, certo, ma una bomba che cadeva da tremila metri?
Ripensò alle parole di Roosevelt; erano state ricordate più volte a tutti i piloti, prima dell’inizio della missione: “Gli attacchi all’Italia sono limitati, per quanto umanamente possibile, agli obiettivi militari. Noi non faremo guerra ai civili o contro obiettivi non militari.”
Il comandante scosse la testa, non riusciva a scacciare i dubbi, ma ormai era giunto sul bersaglio e non c'era più tempo per pensare. Doveva solo agire.

Roma - Ore 10:39

Fougier entrò nel centro di comando scortato dalla polizia militare. La struttura all'esterno era stata camuffata come fosse un ospedale. Fin dalla sua creazione, voluta anni addietro da Mussolini e dallo stesso Marconi, l'area era rimasta segreta a tutti, tranne alle più alte cariche dello Stato. Superò gli ambienti di copertura, completi di stanze di degenza e perfino una sala operatoria, e vide nei dintorni finti infermieri, medici e pazienti che recitavano la loro parte.
Poi le guardie lo lasciarono solo in un'anticamera nascosta, dov'era un ascensore. Fougier vi entrò, la cabina era senza finestrella e aveva solo due tasti. Premette quello in basso. Giunto a destinazione la porta si aprì e sbucò in una stanza dove erano presenti altre guardie armate. Il generale le salutò, le guardie risposero al saluto e lo lasciarono passare, riconoscendolo.
Superato un corridoio e un'altra anticamera, si ritrovò infine in una sala enorme, piena di macchinari, persone e monitor. Uno particolarmente grande era appeso alla parete in fondo; sullo schermo era raffigurata una mappa aerea di Roma e dintorni, sulla quale si muovevano diversi puntini lampeggianti. Un insieme più numeroso di puntini si notava sul Tirreno, in avvicinamento alla costa.
Aveva già visto quel fantastico strumento, ma ogni volta non poteva fare a meno di meravigliarsene. Era stato Marconi, anni addietro, a convincere i vertici militari e politici a investire sull'invenzione, detta radiotelemetro, che ora era realtà, e portava vantaggi enormi in ambito di guerra. Marconi però era andato anche oltre e aveva concepito un apparecchio ancora più rivoluzionario, i cui esperimenti erano stati tenuti segreti, e che oggi avrebbe avuto il suo battesimo del fuoco. Nessuno sapeva se avrebbe funzionato davvero, non era mai stato usato su larga scala.
Fougier vide il contrammiraglio seduto in una postazione di comando, aveva accanto a sé un monitor più piccolo; su quest'ultimo c'era una mappa schematica dell'Italia. In vari punti si vedevano dei simboli di colore rosso, che ricordavano un'antenna. Si avvicinò.
- Ah, generale - disse l’inventore voltandosi. - Venite, siete arrivato appena in tempo per assistere a un momento storico. - Poi si girò verso il grande schermo con le figure lampeggianti, studiando la situazione. - Direi che ci siamo. - Si rivolse al radiotelemetrista capo. - Distanza?
- Sessanta chilometri.
- È il momento. - Marconi azionò una delle numerose leve presenti in un pannello comandi.
Sul piccolo monitor alcuni dei simboli a forma di antenna cambiarono colore, divenendo gialli; erano quelli posizionati sulla costa, nei pressi del litorale romano.
- Peccato che il Duce non sia presente - rifletté Marconi.
- Hitler ha deciso solo ieri la data dell’incontro, all’improvviso - commentò Fougier. - Il destino è bizzarro, a volte.
- Sì - concordò l’inventore. - Nel giorno più importante per Roma, il suo rappresentante più illustre ne è lontano. - Poi riportò l’attenzione sullo schermo piccolo, indicando i simboli antenna, che ora erano verdi. - I radiocannoni sono pronti. Distanza? - chiese di nuovo.
- Cinquanta chilometri - disse il radiotelemetrista.
- Quando spareranno? - chiese Fougier, eccitato.
- “Sparare"? - rispose Marconi. - Non userei questo termine. Comunque in teoria potremmo già agire, ma mi sono posto un limite di dieci chilometri. La portata delle onde elettromagnetiche è molto maggiore, ovviamente. Ma i miei dubbi riguardano più che altro l’efficacia dell’energia sulla lunga distanza, che non ho potuto sperimentare a fondo.
- Quanti radiocannoni sono pronti a… - cercò un termine migliore di “sparare”, ma non gli venne in mente nulla.
- Quei tre simboli che vede - il contrammiraglio indicò lo schermo - rappresentano tre postazioni, ma ognuna è dotata di sei radiocannoni.
- Non sono pochi? - ribatté il generale. - Le nostre fonti parlano di centinaia di velivoli.
L'inventore trattenne un sorriso beffardo. - Ogni radiocannone è un apparato radioelettrico dotato di un’antenna di trenta metri. Vi assicuro che la potenza erogata sarà più che sufficiente.
Fougier si chiese come fosse stato possibile tenere segrete fino a oggi strutture così imponenti. Vero che erano siti occultati, che con favolosi meccanismi rientravano nel sottosuolo, risultando invisibili dall’esterno; ma doveva comunque essere stata un’impresa evitare fughe di notizie e tenere lontani i curiosi. Trenta metri! Dovevano essere impianti grandiosi quelli che adesso dal litorale si affacciavano sul mare, in attesa dei loro bersagli.
- Distanza? - chiese ancora il contrammiraglio.
- Ventun chilometri.
- Avvisatemi appena arrivano a dieci. - Marconi avvicinò la mano a un pulsante. La mano era ferma.
Fougier si asciugò il sudore dalla fronte.

Mar Tirreno - Ore 10:50

Doolittle aprì la comunicazione via radio. Ormai erano a ridosso della costa, vedeva gli edifici di Fiumicino e Ostia e, in mezzo, la foce del Tevere. Sarebbe bastato risalire il fiume per arrivare alla città eterna.
- Ci siamo - disse alla squadriglia. - Conoscete i vostri obiettivi, sapete cosa dovete fare.
Chiuse la trasmissione. - E Dio ci perdoni - mormorò tra sé, sentendosi strano nel pronunciare quelle parole. Non si reputava particolarmente credente, ma oggi stava per bombardare il centro della Cristianità e avvertiva un timore irrazionale.
Il copilota richiamò la sua attenzione. - Comandante, cosa sono quelle strane costruzioni disposte lungo il litorale?
- Non so - rispose, aguzzando la vista. - Sembrano… una sorta di enormi antenne. Strano, non mi sono state fornite informazioni in merito.
Si chiese se fosse importante e se dovesse sentire il comando. Poi di colpo il motore si spense e il silenzio li investì.
Superata la sorpresa iniziale, cominciarono ad armeggiare sui comandi. Nessuna leva o pulsante sortiva effetto. Cosa stava succedendo? Mentre l’aereo iniziava a perdere quota, Doolittle si girò verso la torretta alle sue spalle, urlando all’ingegnere di volo di scendere per fare un controllo ai sistemi. Poi riaprì la radio per chiedere aiuto. Ma la radio rimase muta. Si rese conto che c’era troppo silenzio; anche se il suo velivolo aveva un’avaria, dov’era il rombo degli altri? Cinquecento aerei erano dietro di lui, eppure l’unico suono dall’esterno era il rumore del vento. Nell’assenza di suoni udì chiaramente l’agitazione e le voci concitate di tutto l’equipaggio.
- Comandante! - L’ingegnere, apprestandosi trafelato a verificare le apparecchiature, gli indicò il posto che aveva lasciato libero in torretta. - Vada a vedere!
Doolittle vi si precipitò. Dalla calotta riuscì ad avere una visione a trecentosessanta gradi dello spazio aereo intorno. E fu testimone di una cosa impossibile. Tutti gli aerei stavano perdendo quota. Tutti, nessuno escluso. Come uno stormo di uccelli che si fosse congelato all'improvviso, i musi metallici che si abbassavano gradualmente.
Il copilota gridò dalla cabina - Stiamo andando in stallo!
Doolittle soffocò un’imprecazione, scendendo dalla torretta. Un cenno dell’ingegnere gli confermò che non c’era più nulla da fare. - Abbandonare l’aereo! - gridò.
L’equipaggio eseguì veloce le procedure di evacuazione. Gli uomini, lottando contro il tempo e i movimenti convulsi del velivolo in caduta, afferrarono paracadute e canottino gonfiabile, li agganciarono all’imbracatura e riuscirono infine a lanciarsi.
Doolittle come da protocollo attese che tutti fossero fuori, prima di buttarsi a sua volta. Poco dopo tirò la cordicella. Mentre planava dolcemente vide quello che succedeva intorno a lui. Nella moltitudine di aerei fuori controllo, alcuni precipitando ne colpivano altri, peggiorando la già drammatica situazione. Vide diversi aviatori lanciarsi col paracadute, altri urlare di terrore e non avere tempo per farlo, coinvolti nella strana, silenziosa caduta dei titani che stava avvenendo nei cieli. Uno dopo l’altro tutti i velivoli piombarono nelle acque del Tirreno, come una pioggia d’acciaio scatenata da un dio furioso. Osservò un gruppo di uomini affacciarsi da un peschereccio e sgranare gli occhi, stupiti. Li guardò farsi il segno della croce.
Li imitò, per la prima volta credendoci davvero.

Roma - Ore 11:07

Al centro di comando era grande festa. Abbracci, complimenti, strette di mano. I presenti facevano la fila per congratularsi con Marconi, l’eroe del giorno. Nel momento fatidico gli aerei nemici erano scomparsi dal radiotelemetro. Un agente che era sul posto, a Ostia, aveva descritto l’evento in diretta via telefono, terrorizzato ed euforico allo stesso tempo. Grida di esultanza si erano levate e avevano contagiato tutto il personale presente. Marconi era stato forse l’unico che era riuscito a tenere un certo contegno, ma chi lo conosceva bene sapeva che quel sorriso sottile e quegli occhi luminosi erano il segno di una grande emozione.
Mussolini era stato contattato subito dopo. Appresa la notizia, aveva chiesto di parlare subito con Marconi, per congratularsi personalmente. L’aveva promosso ad ammiraglio sui due piedi, assicurandolo che ci sarebbe stata una nomina ufficiale in seguito. Marconi, inorgoglito, ne aveva parlato con Fougier, dopo che quest’ultimo aveva parlato a sua volta con il Duce, per ricevere istruzioni sui prossimi passi.
Dopo i festeggiamenti, ognuno riprese il suo posto; il lavoro continuava, e ora bisognava prepararsi agli eventi futuri. Ma dai volti di tutti i presenti trasparivano serenità, fiducia e ottimismo, emozioni che sembravano scomparse da anni. Fougier prese da parte l’inventore.
- Ce l’avete fatta… ammiraglio.
- Sì - rispose lui appoggiandosi a un mobile, assumendo una posa rilassata. - Il flusso radioelettromagnetico è realtà.
Fougier sorrise. - Lui lo chiama raggio della morte.
- Già. Immagino che passerà alla storia con questo nome.
Vennero distratti da un addetto che stava richiamando gli altri all’attenzione. - Venite, ne parlano alla radio!
Era vero. Evidentemente era stato preparato in fretta un primo comunicato sull’accaduto. Dall’apparecchio scaturiva la voce inconfondibile di Guido Notari. L’annuncio parlava di un vigliacco attacco aereo americano alla capitale, che era stato prontamente sventato da un’arma eccezionale sviluppata da Sua Eccellenza Guglielmo Marconi, il più illustre rappresentante del genio italico. Diceva inoltre che poco fa il Duce aveva preso la parola a Villa Gaggia, interrompendo un infastidito Hitler, spiegando che aveva notizie della massima gravità da comunicare. Dopo un veloce riepilogo degli eventi, aveva annunciato il suo immediato ritorno a Roma per un importante discorso al popolo. Poi, affabile, aveva messo giovialmente un braccio intorno al Cancelliere, che lo guardava stupito.
Fougier tornò ad appartarsi con Marconi.
- Qui ci vuole un brindisi - disse allo scienziato.
- Marconi annuì. - Dite il vero, bisogna coronare questo risultato con un buon vino.
- Ma dobbiamo mandare qualcuno a prendere…
- No no generale, aspettate qui.
Fougier, interdetto, lo vide allontanarsi, per tornare poco dopo con una bottiglia di Chianti.
- Ah! E questa dove la tenevate?
- Un uomo, per quanto impegnato nel suo lavoro, deve concedersi un po’ di piacere ogni tanto - sorrise Marconi. Riempì due bicchieri.
- Be’ allora salute - disse Fougier. - Al “più illustre rappresentante del genio italico”!
- Il merito non è solo mio.
- Certo. Ma non siate modesto, il nome che tutti ricorderanno è il vostro. Marconi, l’inventore del raggio della morte! Che ne dite?
Il suo interlocutore sogghignò. - Non male. Ma preferirei essere ricordato come l’inventore della radio.
- Allora all’inventore della radio - disse Fougier alzando il bicchiere.
- E alla vittoria - rispose Marconi.
Un commesso arrivò di corsa, il volto teso. Si rivolse allo scienziato. - Vi vogliono al telefono! È una chiamata dal Vaticano!
Marconi, dopo un’occhiata d’intesa con il generale, si allontanò.
Quando tornò, sul volto aveva un’espressione indecifrabile. Fougier fece un cenno invitandolo a parlare.
- Era Sua Santità.
Fougier rimase sbalordito. - Avete parlato personalmente con Pio XII? Incredibile! E cosa… Non so, forse sono indiscreto, ma vi confesso che la curiosità mi sta divorando.
- Oh, state tranquillo, niente di cui non possa parlare liberamente. Il Papa mi ha ringraziato, e ha lodato Dio per aver guidato la mia opera, che ha portato alla salvezza di Roma e della Cristianità.
- Incredibile - ripeté Fougier. - Eppure vi vedo perplesso.
- No, no anzi, sono onorato. È che mi è venuto in mente un episodio, risalente ad alcuni anni fa, prima della guerra.
- Raccontate - disse il generale, esortando lo scienziato a proseguire.
- A quel tempo stavo ancora effettuando le prime osservazioni con il flusso radioelettromagnetico. Poi arrivò finalmente il giorno in cui completai un prototipo di radiocannone. Era necessario quindi provarlo. Avvisai Mussolini e concordammo insieme un esperimento, da effettuarsi sulla Roma-Ostia.
- Interessante. Non ne ho mai sentito parlare.
- Oh certo, eravamo in pochissimi a saperlo. - Marconi sorseggiò del vino. - Tra cui Donna Rachele. Lui la chiamò e le disse di farsi trovare su quella strada a una certa ora. Fatto sta che l’esperimento ebbe successo; i motori delle automobili improvvisamente si bloccarono.
- Come reagì Mussolini?
- Mi riempì di complimenti e cominciò a fare progetti per il futuro, parlando freneticamente. Era assolutamente entusiasta, con quella luce negli occhi che anche voi ben conoscete. Intuì subito il potenziale bellico dell’invenzione. A un certo punto però fui convocato dal Vaticano.
- Ah, quindi parlaste con…
- Pio XI. All’epoca era lui il Papa.
- E cosa vi disse? - chiese Fougier bevendo il suo vino.
- Be’, era molto diverso dal Papa di oggi. Pio XI non era contrario per principio alla scienza e al progresso. Anzi devo dire che in molte occasioni promosse e favorì il mio lavoro. Di certo ricordate che fu proprio lui a incaricarmi di sovrintendere alla costruzione della prima stazione radio del Vaticano.
- Ma?
- Ma quando gli parlai degli ultimi esperimenti e delle possibili implicazioni, mi ammonì. Parlò di Apocalisse, di scienza fuori controllo, dei pericoli della superbia. Disse che non era compito dell’uomo sostituirsi a Dio. In pratica mi invitò a desistere.
- E voi lo faceste?
- Per un certo periodo sì. Anche perché Mussolini stesso, non volendo inimicarsi il pontefice, mi chiese di smettere, seppur a malincuore.
- Capisco. Ma poi qualcosa vi convinse a proseguire.
- Proprio così. Generale, la scienza è la mia vita. La sete di conoscenza è come un fuoco che mi brucia dentro, ed è inestinguibile. - Marconi bevve ancora un po' di vino. - E poi sentivo che una nube oscura si stava addensando sul mondo, c'erano tutti i segni premonitori di un conflitto imminente; quindi riflettei su quel che stavo facendo, e alla fine conclusi che poteva essere utile.
- Eccome! Oggi ne abbiamo avuto la prova, l’invenzione ha un effetto sul campo devastante. Ma continuate, vi prego.
- Pio XI morì nel ’39. Lo stesso anno in cui Hitler invase la Polonia, dando il via agli eventi che ci hanno portato fin qui. Andai quindi a parlare dei miei studi anche con il nuovo Papa, desideravo un suo beneplacito. E fui accontentato. Pio XII approvò il mio operato, e mi invitò a continuare gli esperimenti.
- Ed è un bene, direi - esclamò Fougier - eccoci qui a festeggiare! Però, che storia affascinante. Chissà cosa sarebbe successo, se non foste andato avanti con le sperimentazioni.
- Avete ragione. Ma non voglio nemmeno pensarci. Chi può dire dove saremmo, oggi. Ma per fortuna è qualcosa che non sapremo mai.
I due si versarono ancora del vino e fecero tintinnare i bicchieri.

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