giovedì 27 aprile 2017

Un fulgido esempio di malvagità


17 dicembre 1909

Da qualche parte in Belgio

Il sovrano aprì gli occhi.
Si trovava disteso nel suo letto, vestito in alta uniforme. Si tirò su, davanti a lui c'era un uomo vestito elegantemente, con un completo bianco, foulard nero al collo e fazzoletto abbinato, al taschino. Le sue mani erano lunghe e affusolate, il volto aveva lineamenti regolari, la pelle incredibilmente liscia, i capelli biondi, corti. Gli occhi due pozzi neri. Poteva avere vent'anni o quaranta, non riusciva a capirlo.
- Chi è lei? - Il re si sentiva strano. Si toccò le mani, erano fredde.
- Vostra Maestà, le do il benvenuto. Attendevo il suo risveglio.
- Risveglio? - ll monarca cercò di riordinare le idee. - Ma io ero... stavo...
- Non si preoccupi Altezza, all'inizio è normale un po' di confusione, ma pian piano i ricordi e la coscienza ritornano.
- Ha detto benvenuto. Benvenuto dove? Questa è la mia stanza, che ci fa lei qui? Chi è? - Adesso il sovrano si sentiva meglio, nella sua voce era tornata l'attitudine al comando, che aveva caratterizzato tutta la sua vita.
La figura in bianco non si scompose minimamente. - Sire, sono estremamente spiacente, ma devo purtroppo metterla al corrente che lei è deceduto.
- Cosa? - Il re strabuzzò gli occhi, incredulo. - Ma cosa sta dicendo? Come si permette?
- Coraggio Eccellenza, non si accalori. Cerchi di ricordare, vedrà che sto dicendo solo la verità.
Il monarca perse la sua baldanzosità, rifletté, il volto si fece pensieroso. - Sì. Sì è vero, io ricordo che ero proprio qui, sul mio letto di morte, circondato dalla mia famiglia. Ma allora...
- Sì Vostra Grazia, questo è l'aldilà. L'oltretomba, il "dopo", lo chiami come preferisce; un non-luogo che ha molti nomi. In ogni caso, eccoci qui. Lei ha chiesto chi sono. Be', anche io ho molti nomi, ma forse quello che più si avvicina alla sua concezione religiosa potrebbe essere... il diavolo, per esempio.
Il sovrano inarcò un sopracciglio. - Non sembrerebbe, a guardarla.
- Oh la prego, non giudichi dalle apparenze, il diavolo ha molti aspetti, sa. D'altronde, è un concetto che lei comprende benissimo, ne sono sicuro. - Gli occhi dell'uomo, o meglio del diavolo, si accesero di una luce rossa, ardente.
- Che intende dire?
- Su andiamo, Eminenza. Con me non esistono segreti, non si può nascondere nulla al diavolo. Comunque devo farle i complimenti, io stesso non avrei potuto ordire peggiori nefandezze e crudeltà, al suo posto. Lei mi ha praticamente rubato la scena. Di questi tempi quasi nessuno crede più al diavolo. Lei invece... lei invece era reale, concreto, tangibile. Un fulgido esempio di malvagità! Rimango ammirato, davvero.
- Io volevo solo portare civiltà, progresso, benessere!
- Andiamo, qui non è di fronte ai giornalisti, lasci perdere queste fandonie. - Il diavolo scrollò le spalle. - Chissà, forse all'inizio ci credeva sul serio. Ma poi la cosa le è un po' sfuggita di mano, nevvero? Come si dice, "la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni". Be', Maestà. - Si alzò, andando verso il sovrano, che era impietrito. Lo guardò, abissi di tenebra negli occhi. Gli pose le dita sulle palpebre, chiudendole. Poi sussurrò, il fiato caldo come fuoco. - È ora di andare all'inferno.

Il sovrano aprì gli occhi.
Ora si trovava in un corpo che non era il suo, in una mente che non era la sua. Aveva la pelle scura come la notte e il suo nome era Nsala. Si trovava nella sua capanna nel villaggio di Wala, insieme alla moglie e alla figlioletta.
L'alba era appena sorta e già il caldo cominciava a farsi sentire. La bimba dormiva come un angelo, rannicchiata tra le braccia della mamma. Nsala sospirò. Sarebbe stata un'altra dura giornata, avrebbe lavorato fino al tramonto per ricavare la gomma dagli alberi. Non capiva cosa avesse di tanto prezioso per gli uomini bianchi, ne volevano sempre di più, non gli bastava mai.
Udì delle grida all'esterno, voci concitate, imperiose. Poco dopo, urla di donne e bambini. Sua figlia si svegliò e comincio a piangere, la mamma la prese tra le braccia per calmarla, uno sguardo interrogativo rivolto a lui.
Nsala si avvicinò all'ingresso della capanna e scostò la tendina per vedere. Guardò fuori e il cuore perse un colpo. Nel villaggio erano arrivati i miliziani. Erano armati con fucili e machete, stavano rastrellando il villaggio.
Non fece in tempo a dirlo alla moglie che si sentì strattonare il braccio, un soldato lo aveva afferrato; l'uomo lo scostò con violenza ed entrò nella sua tenda, seguito da altri due.
Nsala rientrò di corsa. Quello che lo aveva strattonato gli puntò il fucile contro, intimandogli di stare immobile. Gli altri due guardavano ridendo la moglie e la figlia.
- Che fate? Cosa volete? - gridò Nsala. Per tutta risposta il militare lo colpì col calcio del fucile al volto. Cadde a terra stordito e sanguinante, poi il resto si svolse davanti ai suoi occhi come un incubo.
Uno dei soldati prese la bimba imprigionandola tra le braccia, lei si agitò scalciando e urlando.
Il terzo milite, un brutto tizio a cui mancavano almeno tre denti e che aveva una cicatrice lungo tutta la guancia, si dedicò invece a sua moglie. La prese e le strappò i già miseri stracci che indossava. Poi soddisfò i suoi istinti lì davanti a loro.
Nsala provò a protestare ancora ma di nuovo venne picchiato.
Sua figlia piangeva e urlava, chiamava la mamma.
- Fai smettere quella puttanella, mi distrae! - disse l’uomo con la cicatrice.
Allora il miliziano che aveva sua figlia la prese a schiaffi, fino a stordirla. Nsala provò a reagire ancora, questa volta il fucile lo colpì duro e perse i sensi.
Si svegliò con un mal di testa lancinante. Era disteso a terra fuori della tenda, insieme a moglie e figlia, entrambe prive di sensi. No, in realtà la donna aveva gli occhi aperti, ma era assente, sembrava non vedere e sentire nulla. La bambina invece dormiva, il volto gonfio per le botte ricevute. Si mise seduto, guardandosi intorno. Altri suoi compagni erano stati malmenati e trascinati fuori dalle abitazioni, tutto intorno era pieno di miliziani.
Nsala aiutò la compagna ad alzarsi, poi osservò i suoi aguzzini. - Perché? - chiese loro con voce debole, le labbra gonfie e spaccate.
C'era un solo uomo bianco tra i militari, era sicuramente il comandante. - Le regole erano molto chiare - disse. - Avevate delle quote da rispettare.
Qualcuno provò a spiegargli che gli alberi non potevano produrre più gomma di quanto già loro ne coglievano, ma venne subito percosso e zittito.
- Procedete - disse semplicemente l’uomo bianco.
Un soldato puntò il fucile verso Nsala. Lui lo guardò fieramente, pronto a combatterlo a mani nude, se necessario.
Ma poi l’uomo spostò l'arma e sparò a sua moglie, centrandola in petto. Lei si accasciò a terra senza un lamento, come un sacco vuoto.
- Noooooooo! - l’urlo di Nsala riecheggiò per tutto il villaggio, seguito da quello di altri indigeni che subivano simili atrocità.
Sua figlia si svegliò al suono degli spari, terrorizzata. Vide la mamma a terra e si gettò sul corpo, chiamandola disperatamente. - Mamma! Mamma!
Il militare con la cicatrice la trascinò via dal cadavere, mentre altri uomini tenevano fermo Nsala, che gridava, si dibatteva e li malediva.
Poi uno dei soldati portò uno sgabello di legno, lo mise a terra e prese il machete. Sua figlia venne portata lì vicino.
Nsala gridò ancora. - No! Punite me! Punite me!
L’uomo bianco lo guardò. - Tu devi estrarre la gomma. E sono sicuro che la prossima volta rispetterai le quantità pattuite.
Il miliziano con la cicatrice fece inginocchiare la bambina e le tenne fermo il braccio sullo sgabello. Il machete calò sulla manina. Avvenne così in fretta che la faccia della bimba mostrò sorpresa, anziché dolore. Quello arrivò poco dopo, ma a quel punto le stavano già mozzando anche un piede.
A quel punto Nsala riuscì a divincolarsi con la forza della disperazione e si gettò sulla figlia, sanguinante e in preda al delirio. La prese tra le braccia e cercò inutilmente di trovare le parole per confortarla. Cosa poteva dirle? Cosa poteva fare? Sentiva il sangue della bimba scorrergli sul petto, era caldo. Preso da un impeto d’odio afferrò un sasso e lo tirò verso l’uomo bianco. Colpito alla mano, lui emise un piccolo grido di dolore e si girò a fissarlo.
Nsala non avrebbe mai dimenticato quello sguardo. Il bianco si avvicinò, fino a un passo da lui.
Poi estrasse una piccola pistola che aveva in una fondina alla cintura e sparò in testa alla fanciulla. Nsala rimase così scioccato da non avere alcuna reazione, se non guardare stupidamente sua figlia che gli moriva in braccio.
L'uomo ripose la pistola nella fondina. - Fate quel che volete dei cadaveri, ma lasciate a questo selvaggio la mano e il piede della bambina, di modo che non dimentichi i suoi doveri.
Più tardi se ne andarono. Nsala osservò i miseri resti della figlioletta, tutto ciò che rimaneva della sua famiglia. Della sua vita.

Il sovrano aprì gli occhi.
Era nuovamente nella sua stanza, disteso sul letto. Si sentiva scosso, avvertiva nel cuore un profondo senso di ingiustizia e disperazione. Per un certo tempo era stato Nsala, era come se avesse subito lui stesso quelle crudeltà. E l'orrore gli era rimasto dentro. Si mise seduto.
Il diavolo era ancora lì, di fronte a lui. - Ah eccola qui Maestà. Che faccia che ha, si sente bene? No, certo che no. D'altronde è questo che succedeva lì, in Congo. Nella sua... Com'è che la chiamava? Ah sì, la sua "fetta di torta". Così disse, l'Africa era una magnifica torta, e ne voleva una fetta.
Il diavolo prese a camminare per la stanza, scuotendo la testa. - Sapete Altezza, adoro gli uomini, davvero. Le piace la bicicletta?
- Cosa - balbettò il monarca - cosa c'entra la bicicletta?
Il diavolo rise, il suono di un mucchio d'ossa che frana sulla roccia. Si fermò e lo fissò con quegli occhi neri e spaventosi. - Cosa c'entra? Ma Eccellenza, lei deve alla due ruote tutta la fortuna che ha fatto in Congo! Ma la vedo perplesso, ora le spiego. Circa venti anni fa un uomo chiamato Dunlop inventò lo pneumatico; un'idea favolosa, grazie alla quale la bicicletta divenne più sicura e confortevole, e conquistò tutta Europa. Capisce? È per soddisfare la conseguente, enorme, domanda di gomma che è nato quel mercato su cui lei ha lucrato per anni. Ecco perché, dicevo, adoro gli uomini. Per quanti ce ne siano di nobili e animati di buone intenzioni, la maggior parte di loro pensa solo a come far soldi e successo a spese degli altri. Ogni nuova scoperta, ogni geniale invenzione... avrà in ogni caso conseguenze terribili. Siete fatti così.
Gli occhi del diavolo ancora una volta si accesero di luce ardente. - Ma veniamo a noi. Le è piaciuto essere Nsala? L'indigeno in seguito si recò in una missione inglese, e si convinse a farsi fotografare accanto ai resti di sua figlia. Penso che si ricordi della foto, l'ha vista anche lei, quando si diffuse in tutto il mondo. Ma che effetto fa esserne il protagonista? Ci furono articoli, inchieste. Certo, lei provò a difendersi in tutti i modi, grazie ai suoi contatti altolocati, grazie a giornalisti compiacenti che corruppe facilmente. Ma fu tutto inutile, alla fine la verità venne fuori e dovette rinunciare alla sua deliziosa fetta di torta.
«Ma sto divagando, Vostra Grazia. O forse preferisce che la chiami Leopoldo? Ormai siamo in confidenza. Mi risulta che, durante il suo dominio, lei è stato responsabile della morte di, vediamo un po'... sì. Più o meno dieci milioni di indigeni.
Il diavolo si avvicinò al re. - Abbiamo ancora molto tempo da passare insieme. - Di nuovo gli chiuse le palpebre, e rise, l'alito rovente...

Nessun commento:

Posta un commento