martedì 21 maggio 2013

Corsia di destra

Ho visto cose, nella corsia di destra, che voi pedoni non potreste nemmeno immaginare…

Vecchi, malati, invalidi. E poi suore vestite da pinguini anche con quaranta all’ombra, ma anche quelli con le supercar, Ferrari, Porsche. Loro non hanno bisogno di correre per dimostrare che stanno su un altro livello.

Ho visto questo e molto altro. Tutti i giorni vado in macchina al lavoro e osservo. Anche oggi. Vedo donne anziane che si truccano. Donne giovani che si truccano. Insomma, donne che si truccano.

E poi ci sono quelli che, come me, non hanno più voglia di lottare. Sì perché ogni giorno è come una piccola guerra. Metti la freccia, gira il volante, occhio ai motorini, attento a quello scemo, accelera, frena, cambia. Tra sorpassi, ansie, fretta di arrivare. Arrivare dove, poi?

Non ho più voglia di combattere. Come cantava Vasco “oggi voglio stare spento”. E allora, a proposito di musica, alzo il volume della radio e mi estraneo dalla lotta. E medito, nella mia oasi di serenità, su quello che mi circonda.

Rifletto su quei tizi che s’ammazzano per superarti a destra e sinistra, fregandosene delle frecce e del rispetto. Sgommano, suonano e scappano. Sì, forse non è una questione di arrivare, quanto piuttosto di fuggire.

Li ritrovi al semaforo, due macchine avanti. Ansia, rischi, insulti. Per cosa? Quattro metri e qualcosa? È lì che capisci quanto sono coglioni. E poi proprio al semaforo, scatta il verde e tutti via che nemmeno a Imola!

Correre come pazzi forse può farti risparmiare tempo in qualche valle desolata, una di quelle degli spot, dove per vendere macchine te le fanno vedere da sole in mezzo a panorami sconfinati. Ma nelle grandi città è diverso. A Roma, poi.

Dalla radio Just an illusion degli Imagination mi ricorda che forse è tutto un’illusione. Quei frocioni la sapevano lunga.

Qui guidano come fossero in pista. Sì perché noi italiani abbiamo i nostri miti e subito ci sentiamo come loro. Abbiamo la Ferrari e ci sentiamo tutti piloti. Abbiamo le grandi aziende e ci sentiamo tutti manager. Il calcio, ed ecco sessanta milioni di allenatori.

Ma la pista e la strada sono cose diverse, così come i sogni e la realtà.

A volte ci sono quelli che, quando la corsia di sinistra comincia ad arrancare, si buttano da questa parte. Una visitina veloce, per poi risgommare via, una volta superati quei fastidiosi dodici metri di rallentamento. Potrei mandarli a fanculo certo. Ma perché? Cosa cambierebbe poi? Qualcuno dice che ogni tanto fa bene sfogarsi. Io vorrei raggiungere un livello superiore, però, un Nirvana dove nulla ti turba. Un’illuminazione mistica grazie alla quale il bisogno di sfogarsi non ha più senso di esistere.

Uno svantaggio c’è, però. Quei cazzo di camion che sgasano e ti inondano il finestrino di nebbia di Mordor. Che faccio, sorpasso? Ma no, basta rallentare un poco ed ecco qualcuno che subito si infila. Alla faccia della distanza di sicurezza. Vai vai, avvelenati tu. Ah ah!

Dicono che il viaggio è più importante della destinazione, così come in una storia il racconto è più importante del finale. Be’ almeno alcuni la pensano così. Mentre vado a guadagnarmi la pagnotta questo concetto è davvero azzeccato, devo dire. Cioè la destinazione è l’ufficio, cazzo, quello di tutti i giorni. E allora a essere importante è il viaggio. Dico, sto andando a fare l’impiegato, a fottermi il cervello e il rispetto per otto ore, stilando fogli excel e grafici la cui unica utilità è far sentire importante il mio superiore.

E allora ecco, il viaggio, sì il viaggio è più importante. Quando la destinazione è una merda, fai che almeno il percorso sia gradevole. Dovrei stressarmi e fare zig-zag tra le macchine, bestemmiare e fumare e non rendermi nemmeno conto di quello che danno alla radio?

Mmm. Un’altra vita di Battiato. Cavolo, ma allora lo fate apposta! Già sono depresso di mio… poi uno dice che si butta sulla commerciale!

Ma tornando al discorso, signori io me la godo, alla faccia vostra. Quaranta all’ora e vaffanculo alle vostre nevrosi. Che poi, in questo modo ti godi il paesaggio. Voglio dire, guarda lì che bel palazzo. Quei terrazzi barocchi. E quella colonna istoriata? Oh per non parlare del rudere della tomba di Callistio. Cioè Roma si dovrebbe girare solo a piedi. Quei cazzoni impegnati a sorpassarsi non sanno che si perdono. Godiamocela ‘sta città ragazzi, dai. Duemila anni di storia da guardare e tu lasci perdere perché devi correre in ufficio? Ma vaffanculo! Ah, senza contare che siamo in luglio e andando piano puoi goderti anche altre cose. Guarda lì, guarda quella che gonna! Ma davvero esistono così corte? No dai, è una sciarpa!

Mentre passo davanti alla sede delle “suore crocifisse adoratrici dell’eucaristia” (non fate quella faccia strana, esiste veramente, e siamo nel duemilatredici, non nel Medioevo) una smart mi sorpassa rombando sulla sinistra. È grigia, al volante c’è una ragazza (chissà perché le femmine vanno matte per quella scatoletta). Ma non è una ragazza qualsiasi. I capelli sono di un castano chiaro, quasi biondi, lisci lunghi e lucenti come quelli di una principessa elfica. Dietro gli occhiali da sole alla moda si nascondono, lo so, due occhi azzurri. Azzurro intenso, non quello slavato e banale di tante altre. Lo so, perché lavoriamo nella stessa sede. L’ho vista tante volte al call center, un posto dove si entra solo se hai l’accesso, e noto in ufficio come “il paradiso degli impiegati”, per l’alto tasso di gnocca. A volte esce da quella fortezza, impenetrabile come il Fosso di Helm. Va al bar aziendale con un’amica, attirando gli sguardi languidi dei ragazzi e quelli un po’ viscidi dei più anziani.

Si chiama Sabrina. Ma potrebbe chiamarsi anche Genoveffa, ne sarei lo stesso innamorato. Sta fumando una sigaretta e corre, come se non stesse andando al lavoro, ma a una festa al mare. E arriverà al parcheggio per i dipendenti prima di me.

Il destino dipende dal Fato o ce lo costruiamo noi? Alle volte ci ho pensato, mi son detto: magari potrei incontrarla al parcheggio. Sarebbe un caso. Un semplice caso propizio. Ma a volte il caso va aiutato, vero?

Cavolo se corre. Guardala lì, già sul cavalcavia.

E io sto andando troppo piano. Troppo piano per incontrarla per caso.

Torno in guerra. Mi spiace per il Nirvana, lo raggiungerò un’altra volta. Metto la freccia e sorpasso.

E dai cavolo, levati di mezzo, ma che sei rimbambito? Ma perché andate tutti così piano?!

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