Sono un fottuto nostalgico, non mi riprenderò mai. Così canta Caparezza in una canzone (geniale come sempre) in cui mi ritrovo in pieno: Limiti. Ho nostalgia dei giochi di una volta, per dire; parlo sia dei giochi per computer che di quelli da tavolo. I computer games di diveeeersi anni fa erano fighissimi. Avevano delle confezioni in scatola con illustrazioni bellissime (poi magari il gioco consisteva in pixel quadrati giganti che si muovevano a scatti su uno schermo 320X200), e i manuali, oh i manuali! Corposi, scritti come un racconto, con altre belle illustrazioni. Poi magari trovavi qualche gadget, qualche oggetto tipo una medaglia, una chiave, che so, qualcosa di particolare. Ma quanto ti facevano entrare in atmosfera quelle confezioni? Sto parlando di cose tipo Ultima IV, tanto per fare un esempio. Certo, tutto questo se li compravi originali. Perché poi magari andavi da un tizio che metteva annunci su Porta Portese e ti dava tutto piratato, ovvio. Oppure bastava andare in edicola e comprarsi un numero di Special Program o Special Playgames. Magari insieme all’ultimo numero di Zzap! per leggere le recensioni.
Parliamo dei giochi da tavolo? Dai, parliamone, basta un esempio su tutti, il buon vecchio Monopoli. Sì cazzo, Monopoli, non Monopoly. Quello con le Lire falsissime, porca miseria, non con gli schifosi €uri.
Parliamo dei giochi di ruolo? Be’ quelli da tavolo (come dicono gli addetti ai lavori inglesi, pen & paper) per fortuna sono fighi anche oggi (il problema vero è che non c’è più il tempo per giocarci). Certo la bellezza della scatola rossa di D&D penso non la eguagli nessuno, però.
Ripeto, sono un nostalgico. Che poi, giochi da tavolo, di ruolo, al computer ok, ma parliamo anche di giochi, genericamente. La notte sogno di attaccare le calamite dei Micronauti, e di svegliarmi circondato dai pupazzetti (ma oggi si direbbe action figures, anglofili del cazzo) ipertrofici dei Masters of the Universe. Ma quanto era topa She-La? Meravigliosamente politically scorrect, il perfetto esempio di guerriera che affrontava mostri e insidie con un vestitino da porno-dominatrice. Oddio certo che pure He-Man, con quella specie di canotta di metallo che si è ristretta dopo troppi lavaggi… vabbè ma tanto lui aveva la Spada del Potere, quindi pure che stava in mutande vinceva lo stesso. Io avevo diversi personaggi, così al volo ricordo sicuramente di aver avuto He-Man, Skeletor, Man-At-Arms (che cazzo di nome), Beast Man. She-La (Internet mi dice che si chiamava She-Ra, ma io la ricordo con la “L”, boh) no, quella non l’avevo comprata, ero pur sempre un maschietto, mica potevo comprarmi un pupazzetto femmina, no? E poi come al solito c’era l’amico ricco che, oltre a surclassarmi nelle dotazioni informatiche (se io avevo il C64, lui aveva l’Amiga, se io avevo il PC con un joystick normale, lui aveva come minimo il volante, per dire) insomma mi superava sempre pure nei giocattoli. Lui, per dire, aveva il castello di Greyskull. Con tutti i personaggi. Due a zero e palla al centro, come fai a competere? Poi i Micronauti ce l’aveva tutti, compreso il figherrimo Emperor, quello che si vedeva al buio! Io sì e no avevo Green Baron col cavallo Pegasus e l’altro bianco lì, come si chiamava, Force Commander (il nome di questo non lo ricordavo, grazie Google). Che poi erano calamitati come Jeeg Robot, un giorno o l’altro indagherò su chi ha influenzato l’altro per primo (ma penso che Jeeg sia venuto prima, a memoria).
Ripeto, sono un nostalgico. Che poi, giochi da tavolo, di ruolo, al computer ok, ma parliamo anche di giochi, genericamente. La notte sogno di attaccare le calamite dei Micronauti, e di svegliarmi circondato dai pupazzetti (ma oggi si direbbe action figures, anglofili del cazzo) ipertrofici dei Masters of the Universe. Ma quanto era topa She-La? Meravigliosamente politically scorrect, il perfetto esempio di guerriera che affrontava mostri e insidie con un vestitino da porno-dominatrice. Oddio certo che pure He-Man, con quella specie di canotta di metallo che si è ristretta dopo troppi lavaggi… vabbè ma tanto lui aveva la Spada del Potere, quindi pure che stava in mutande vinceva lo stesso. Io avevo diversi personaggi, così al volo ricordo sicuramente di aver avuto He-Man, Skeletor, Man-At-Arms (che cazzo di nome), Beast Man. She-La (Internet mi dice che si chiamava She-Ra, ma io la ricordo con la “L”, boh) no, quella non l’avevo comprata, ero pur sempre un maschietto, mica potevo comprarmi un pupazzetto femmina, no? E poi come al solito c’era l’amico ricco che, oltre a surclassarmi nelle dotazioni informatiche (se io avevo il C64, lui aveva l’Amiga, se io avevo il PC con un joystick normale, lui aveva come minimo il volante, per dire) insomma mi superava sempre pure nei giocattoli. Lui, per dire, aveva il castello di Greyskull. Con tutti i personaggi. Due a zero e palla al centro, come fai a competere? Poi i Micronauti ce l’aveva tutti, compreso il figherrimo Emperor, quello che si vedeva al buio! Io sì e no avevo Green Baron col cavallo Pegasus e l’altro bianco lì, come si chiamava, Force Commander (il nome di questo non lo ricordavo, grazie Google). Che poi erano calamitati come Jeeg Robot, un giorno o l’altro indagherò su chi ha influenzato l’altro per primo (ma penso che Jeeg sia venuto prima, a memoria).
Ma basta parlare di giochi, parliamo di serie TV. Ragazzi oggi non je se la fa a sta’ appresso a tutto. E il Trono di Spade, e Black Mirror, e Westworld, e morti viventi (ma oggi si dice the walking dead, anglofili maledetti, sennò sei vecchio e non abbastanza international) a profusione, le serie dei supereroi, e Mr Robot, e Stranger Things, e… oh, ma chi cazzo ce l’ha il tempo? E io comincio a seguire una serie, mettiamo. Poi un articolo ti fa incuriosire a un’altra (ecco, mi viene in mente anche The Expanse), e un amico poi ti dice, eh no ma questa la devi vedere, un altro poi interviene, eh ma guarda questa è fichissima. Che poi io arrivo sempre dopo, sempre, non ho tempo, cavolo. Sono riuscito a seguire The Man in The High Caste perché sono abbonato a Prime di Amazon (qualcuno ancora non lo è?), cioè voglio dire me le vedo quando riesco pure le serie nuove, sono un nostalgico ma non disdegno cose moderne, se sono interessanti.
Poi qualcuno scopre che non ho ancora visto Breaking Bad. Noooooo, devi vederla! Eh sì ho capito, devo vederla, ma come faccio a vederle tutte? Mi prendo un anno sabbatico, scappo da qualche parte nascosta del mondo (ma dotata di wi-fi) e mi vedo tutto di fila.
E in quell’anno nel frattempo sarà comunque uscito qualcosa di nuovo, no?
E sapete qual è il problema vero? Che queste cazzo di serie nuove vanno seguite puntata dopo puntata. Non puoi perderne una, no. Tranne forse quelle antologiche, ok, ma sono la minoranza. C’è una trama fittissima, una continuity implacabile, una storia che inizia alla puntata 1X01 e finisce alla 8X10, per dire, non so se mi spiego. Ci sono episodi singoli, certo, sotto-trame, divagazioni, ma comunque c’è una trama, un filo conduttore che percorre tutte le stagioni.
E cazzo, allora anche qui sono nostalgico, perché penso invece a serie come Happy Days, L’Uomo di Atlantide, Hulk (quello tamarrissimo con Lou Ferrigno), ma anche U.F.O., la prima Star Trek (detta dagli appassionati TOS, The Original Series, scusate dovevo dirlo altrimenti non sono abbastanza international anche qui, anglofili di merda!), l’uomo da sei milioni di dollari. Cosa hanno in comune queste vecchie serie, da noi anziani chiamate all’epoca telefilm? Che potevi beatamente guardarti una puntata e saltarne cinque, perché tanto il filo conduttore, quando c’era, era una cosuccia da niente, che potevi capire appunto anche guardando una puntata sì e tre no. Lo schema della puntata era sempre lo stesso, alla fine. Prendiamo Star Trek, c’erano il capitano Kirk che era fico e piacione, Spock che era alieno, freddo e logico, e McCoy che era il medico col caratteraccio (il che causava sempre simpatici siparietti con Spock). Incontravano qualche stranezza nello spazio, una creatura o un pianeta misterioso, moriva qualche “maglietta rossa” (gli appassionati capiscono) e poi loro in qualche modo risolvevano. E via, a curvatura otto verso la prossima avventura. Raramente, ma direi praticamente mai, c’era una trama trasversale alle puntate che faceva evolvere in qualche modo i personaggi. Loro rimanevano uguali a se stessi, sempre. Come li avevi lasciati, così li ritrovavi, anche se riaccendevi la TV dopo quattro puntate.
Ah, che libertà, non trovate? Poter seguire questi telefilm senza diventarne schiavi.
Stavo pensando poi alle fantastiche domeniche senza far niente di quando eri ragazzino, con l'unico impegno di vederti i cartoni in TV sgranocchiando qualcosa (io ricordo che andavo matto per le patatine stick, quelle a bastoncino). Domenica era riposo vero. La sera ti divertivi col drive-in e poi a ninna. Be’ dopo il monologo finale di Gianfranco D’Angelo un po' di tristezza ti prendeva, lì era il segnale che davvero il weekend era finito e il giorno dopo a scuola. Che poi se potessi tornare indietro e spiegare al me stesso adolescente quello che ti aspetta nella vita adulta il lunedì… altro che scuola, divertiti finché puoi!
Poco tempo fa mi è capitato, complice un articolo segnalato su FB, di ripensare anche ai Librogame. Ma che invenzione grandiosa! Libri interattivi… di carta! Internet nemmeno esisteva e un amico mi fece conoscere questo fantastico mondo, quello di Lupo Solitario, certo, ma poi l’offerta si allargò ad altre serie e decine di altri titoli. Bastava una matita, una gomma e il librogame, non serviva altro, per partire per avventure fantastiche dove tu eri il protagonista. Oggi le chiamano storie a bivi, i librogame sono stati trasposti in formato elettronico e app e insomma, quelli che una volta erano libri interattivi di carta sono diventati anche avventure interattive vere e proprie. Dico anche perché ho notato con piacere che c’è una sorta di revival per i librogame, che vengono riproposti in cartaceo da coraggiosi editori, sia i classici del passato che proposte del tutto nuove. Giovani là fuori, dico a voi, accantonate per un attimo smartphone e consolle e date un’occhiata a questa meravigliosa forma di intrattenimento.
Ma ora parliamo del rullino delle foto da sviluppare. Sì il rullino, quel coso colorato della Kodak (pace all’anima sua) che, una volta scattate quelle 24 o addirittura la stratosferica cifra di 36 foto (per i più ricchi), si metteva dentro quel cilindretto nero col cappuccio grigio e si portava a sviluppare e te lo davano dopo qualche giorno! (Almeno finché la tecnologia accelerò e comparvero i primi sviluppo e stampa in 1 Ora! Quanti ve ne ricordate di negozietti che strillavano in vetrina questa cosa fantascientifica?). In ogni caso, oggi sembra incredibile raccontarlo, ma non sapevi com'erano venute le foto finché non andavi a ritirarle! A scuola, al ritorno dalla gita scolastica, si aspettava con trepidazione che tutti sviluppassero le foto fatte, poi ci si riuniva a sfogliarle insieme, per ridere di quelle più buffe. Ci si passava quei piccoli libretti formato 10 x 15 che contenevano le foto all’interno, coperte da una pellicola sottile per proteggerle, sfogliandole appunto tipo un libretto.
Mi ricordo che una volta una ragazza venne da me con un amica, mostrandole una foto dove c’ero io con un cappello da cow-boy in testa. La ragazza mi chiese se quello ero proprio io. Alla mia risposta affermativa si rivolse all’amica dicendole “hai visto?”. Purtroppo all’epoca ero davvero troppo rinco e timido con le ragazze per capire l’occasione che si era appena presentata. Lo so che se la racconto a un tredicenne di oggi ormai sgamato a tutto mi darebbe del coglione, ma ero così, che posso farci. Oggi è normale che la maggior parte dei ragazzi sia sveglia, ma all’epoca la maggior parte di noi era presa da giochi, cazzate, ed essere più intraprendente e sciolto con le ragazze era l’eccezione, non la regola.
Vabbè basta, il fiume dei ricordi rischia di sommergermi. Concludo come ho iniziato, citando Caparezza. Quindi ecco qui sotto Limiti. Ascoltatela e fatevi prendere da quella sensazione agrodolce che è la nostalgia. Se siete nerd e quarantenni come me, vi piacerà:
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