martedì 3 novembre 2015

Me la canto e me la suono

Ho scelto di pubblicarmi da solo. Sono un cosiddetto self-publisher, o autore indipendente, indie, insomma quella robaccia lì (robaccia più che altro secondo l'opinione di gran parte degli editori). Perché?
Innanzitutto per la grande libertà. Libertà di scrivere quello che voglio, nei tempi che voglio, nel genere che voglio.

Perché passare per un editore significa per forza di cose edulcorare le proprie idee, la propria storia, doversi piegare alla volontà di qualcun altro, che decide al posto tuo cosa tu possa dire e cosa no. Significa che il tuo testo deve essere addomesticato, filtrato, corretto. Significa dover seguire le mode del momento e dover modificare una storia perché possa essere considerata "appetibile" per il pubblico.

La scrittura creativa non ha un cazzo a che fare con i cosiddetti corsi di scrittura creativa. I corsi di scrittura creativa (ammesso che la creatività sia insegnabile) vi insegnano a scrivere secondo quello che pensano gli editori, non vi spiegano nulla di cosa sia la creatività vera. La creatività vera, quella degli artisti, nasce dalla libertà. Libertà di pensieri, di idee, libertà da qualsiasi condizionamento: editoriale, del pubblico, degli amici, di chicchessia. Essere liberi di esprimere quello che passa nel proprio cervello.

Ma questa non è una guerra contro gli editori. Se qualcuno sarà interessato ai miei lavori ben venga. In realtà io faccio un favore grandissimo agli editori: risparmio loro l'ennesimo manoscritto da leggere e valutare, e vado direttamente al pubblico; dal produttore al consumatore, diciamo così. L'unico giudice del mio operato saranno i lettori. Se loro decreteranno il mio successo magari un editore riterrà che forse vale la pena contattarmi e propormi di pubblicare con lui. Se non avrò successo pazienza. Mi sarò risparmiato di inviare manoscritti che nella migliore delle ipotesi riceverebbero una scorsa veloce alla prima pagina. Tantissime opere del passato, considerate classici irrinunciabili, se venissero inviate a una casa editrice oggi, verrebbero cestinate da gente che si sente Gesù Cristo e giudica uno scritto solo leggendo la prima pagina. Ma succede anche con le opere recenti, basta andare a leggersi le storie dei rifiuti che hanno ricevuto scrittori come Stephen King e J.K. Rowling, per dire. Finché poi qualcuno più intelligente ha dato loro una possibilità. Be' grazie al self-publishing non c'è bisogno di sperare nel colpo di culo di trovare uno che legge il tuo manoscritto col cervello acceso. Se una storia vale si affermerà. Punto. Ma attenzione, ora.

Perché signori, se volete considerarvi professionisti della scrittura, non basta prendere la penna e scrivere, nossignore. Qui mi trovo d'accordo con gli editori, perlomeno con quelli seri. Bisogna mettersi giù e rileggere e riscrivere tante volte, pensando anche al lettore. Se volete essere autori indipendenti, dovete imparare anche a fare gli editori di voi stessi. Questa è la chiave, questo vuol dire scrivere professionalmente.


La vostra storia deve essere resa in una forma fruibile anche da chi non sta dentro il vostro cervello, da un pubblico esterno; questo è un lavoro che lo scrittore bravo deve saper fare. Lui, e non qualche editore che ha deciso che oggi vanno di moda gli zombi innamorati, chiaro? Quest'ultimo passo, quello di trasformare la vostra creatività in una forma leggibile, è importante, non deve essere disprezzato come fanno certi pseudo-autori, convinti che anche la loro lista della spesa sia un'opera dettata direttamente da Dio, a cui non bisogna cambiare nemmeno una virgola. 

Questa è la strada che ho scelto io. Sono un autore indipendente, scrivo, edito e pubblico da solo. Non posso promettervi che quel che scrivo vi piacerà, ma posso giurarvi che cerco di fare del mio meglio, e pubblicare solo quando sono soddisfatto del risultato.

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